#6 Elio

Finché avrò respiro, fino a quando tu vorrai

A lui il suo lavoro piaceva abbastanza. Stipendio buono, vitto, alloggio, rispetto tra i compaesani e le responsabilità più incombenti erano, al massimo, quelle di inamidare come dio comanda i colletti del parroco, lucidare a nuovo il marmo dell’altare, avvisare cortesemente gli invitati dei matrimoni di gettare il riso sugli sposi solo una volta fuori dalla chiesa.
Mansioni semplici. Era come ripetere senza coscienza i dettami materni della perfetta donna di casa. Affrancandosi dall’incombenza di una peccaminosa vita di coppia.
Sì, a lui il suo lavoro piaceva.
C’era solo una cosa che non sopportava. Ed era il dolore concavo delle figlie che piangevano le anziane madri, dipartite magari di notte nel sonno a novant’anni; quel dolore che solcava quei visi prima dotati di sfacciata sensualità, quel dolore incomunicabile e omertoso che si adagiava sulle rughe dei dispiaceri tipicamente femminili. Ecco cosa non sopportava, Elio, e lo si può ben capire da questo scatto, la vedete quella nota di disgusto che gli incrina il labbro superiore verso destra? Sono le donne ed il loro dolore senza voce. Insopportabile.
Poi al suono del campanellino, il labbro tornò al suo posto, Elio alzò il capo ed iniziò a recitare a gran voce l’Atto di dolore e, sì, per quello che prendeva a fine mese, credeva ne valesse ben la pena, di recitare e controllare i muscoli facciali.

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