C. alla fine è morta e io sono stata al suo funerale sapendo ben poco di lei. Voglio molto bene al suo papà che è arrivato con un mazzo di fiori in mano da posare sulla bara, mi ha rivolto uno sguardo dolce sulle scale prima di entrare e poi ha trafficato con le tasche alla ricerca di un telefono al quale aveva dimenticato di togliere la suoneria.
Il parroco ha continuato a ripetere “..in questa chiesa cattedrale”, quasi un noioso e turistico intercalare; io ero seduta abbastanza in fondo da poter guardare l’uniformità della cascata di Barbour tra le panche in legno e delle catene montuose di teste bianche. Tra queste, un elemento stonato, un giubbotto in pelle troppo largo e sdrucito, due occhi tristi che si guardavano intorno dispersi. Mi sono chiesta per tutto il tempo se quel ragazzo fosse alla ricerca di conoscenti arrivati in ritardo o se si muovesse di continuo per dissimulare una profonda tristezza individuale che in quel momento non riusciva a far emergere.
C. era timida, claudicante, aveva solo venticinque anni e troppe remore, troppi dolori, per riuscire ad andare incontro al mondo a braccia aperte e a testa alta. Ho provato a farla ridere più volte nei mesi in cui cercavo di farle un po’ di formazione al lavoro, ma nei suoi sorrisi si celava sempre una profonda difficoltà a lasciarsi andare.
Non ho pensato a lei per intere settimane, quando è stata costretta a lasciare il lavoro, forse mi concentravo di più sul dolore del suo papà. Ma oggi mentre guidavo verso il suo funerale, ho provato a ricordare le ultime volte in cui l’ho vista e mi è venuto in mente un caldissimo pomeriggio di giugno, quando l’ho incontrata vicino Piazza Duomo e mi ha descritto il fiore all’occhiello, preparato da lei, che suo padre avrebbe indossato ad una festa alla quale anch’io ero invitata. Oggi, poi, sono arrivata, ho parcheggiato e mi sono diretta proprio verso Piazza Duomo e in quella chiesa cattedrale, quando ho visto quel ragazzo in quel giubbotto di pelle over size, quando ho visto i suoi occhi lucidi a disagio, ho immaginato per C. un amore nascosto e spezzato, un amore che la rendeva felice, ma in maniera cauta e silenziosa. Com’era lei.