#2 Margherito

Life begins when you’re in love

A me, i miei baffi sono sempre piaciuti. Alla mongola, a manubrio, mettila come vuoi. Mi sono sempre piaciuti tantissimo: mi facevano sembrare alto, imponente, uomo anche quando ero un adolescente, alto meno di un metro e settanta e di virile non avevo che, appunto, i baffi.
Non ci facesti fatto neanche caso, a quei baffi, quando ci conoscemmo, ne sono sicuro: uno accanto all’altra, attraversammo il centro storico innumerevoli volte, lasciandoci inghiottire da quei vicoli inanellati che ci riportavano sempre al punto di partenza. Parlammo di musica e di legno, quella sera, e non sembravi infastidita, come lo saresti stata nei mesi successivi, da quelle due lingue di pelo che mi contornavano il labbro superiore.
Quei baffi mi piacevano anche perché mi nascondevano le labbra, ché quando sorridevo s’increspavano in una strana smorfia e, anche quando parlavo, tendevano a seguire traiettorie inconsuete. Quei baffi, quelli dei quali ti lamentavi perché “sono da vecchio”, perché “lo vedi, mi irritano il viso?”, perché “solo nei film finlandesi, c’è gente che li porta allo stesso modo”, perché “sarebbero più dignitosi quelli alla Hitler”, quei baffi li ho tagliati il giorno in cui sei andata via. Un disperato, patetico, gesto scaramantico che, ne ero convinto, ti avrebbe ricondotta a casa.
Ma la nostra relazione era un mutilato di guerra, alla fine: ogni giorno ne avevamo perso un pezzetto, senza accorgercene. La nostra relazione era che, ogni volta che avevi bisogno di me, io ero fuori a fumare; era andare avanti ed indietro, salutarsi ritrovarsi salutarsi di nuovo, senza uno scopo specifico, senza un piano di fuga dalla ripetitività delle azioni.
Radermi, in fondo, non è stato così difficile come pensavo: sapevo che per un po’ di tempo non avrei sorriso né parlato più di tanto. Non potevo prevedere, tuttavia, che, chino sul violino nascente al quale stavo lavorando, non avrei più avuto l’espressione di contrita concentrazione, l’unica capace di motivarmi quando, velocemente, mi scrutavo nello specchio posto in fondo alla sala.
Non tornasti più, inghiottita dal tempo e dai biglietti ferroviari, e quel violino non suonò mai bene come avrebbe dovuto.

matti pellonpa

6 thoughts on “#2 Margherito

  1. kovalski ha detto:

    E quando l’amore svanisce, cosa ne è allora della vita?

  2. PuroNanoVergine ha detto:

    Chissà se una canzone simile in un film di Kaurismaki troverebbe posto?

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